LE INDAGINI EMATOLOGICHE ED IMMUNOGENETICHE SUL DNA
In materia di accertamenti relativi alla paternità e alla maternità la consulenza tecnica immunoematologica ha funzione di mezzo obbiettivo di prova, costituendo lo strumento più idoneo, avente margini di sicurezza elevatissimi, per l’acquisizione della conoscenza del rapporto di filiazione naturale. Con essa il giudice accerta l’esistenza o l’inesistenza di incompatibilità genetiche, ossia un fatto (biologico), di per sé suscettibile di rilevazione solo con l’ausilio di competenze tecniche particolari. Sul punto il Supremo Collegio osserva quanto segue: “Nel giudizio diretto ad ottenere una sentenza dichiarativa della paternità naturale, non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca, anche per relationem, le conclusioni della relazione di consulenza tecnica d’ufficio, avente ad oggetto le indagini ematologiche ed immunogenetiche sul DNA (che può assumere, nonostante la valenza esclusivamente probabilistica delle relative valutazioni, la funzione di mezzo obiettivo di prova, avente margini di sicurezza elevatissimi, alla luce degli approdi scientifici ormai condivisi), dovendosi ritenere che il giudice, salvo il caso in cui siano mosse precise censure, (anche contenute in consulenze tecniche di parte) a cui è tenuto a rispondere, possa limitarsi ad un mero richiamo adesivo al parere espresso dal consulente d’ufficio (Cass., sez. I, 24 dicembre 2013, n. 28647)”.
L’AZIONE PER LA DICHIARAZIONE GIUDIZIALE DI PATERNITA’ NATURALE E’ IMPRESCRITTIBILE
L’art. 270 c. 1 c.c. afferma che l’azione per ottenere che sia dichiarata giudizialmente la paternità o la maternità è imprescrittibile riguardo al figlio. Il legislatore ha inteso, affermando il principio dell’imprescrittibilità dell’azione, privilegiare l’interesse del figlio, sicuramente preminente rispetto a quello del genitore. Ciò in piena conformità ai principi costituzionali: l’art. 30 Cost. prevede l’obbligo di mantenimento, educazione ed istruzione da parte dei genitori, indipendentemente dallo status filiationis, tanto che da più parti si è parlato di responsabilità dei genitori per il mero fatto di procreazione. Il genitore che ritarda il suo doveroso riconoscimento, fino al punto da far intervenire il giudice, non può allegare a proprio vantaggio il ritardo stesso. A riguardo la Suprema Corte specifica quanto segue: “L’imprescrittibilità dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale disposta dall’art. 270 c.c. (nuovo testo) si applica anche ai figli nati o concepiti prima dell’entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia (art. 232 legge 19 maggio 1975, n. 151) i quali, pertanto, possono farla valere anche se siano incorsi in decadenze previste dalla precedente normativa (Cass. 1° dicembre 1997, n. 12187)”.
IL RIFIUTO INGIUSTIFICATO DEL PRETESO PADRE DI SOTTOPORSI AGLI ESAMI EMATOLOGICI COSTITUISCE UN COMPORTAMENTO VALUTABILE DA PARTE DEL GIUDICE EX ART. 116 C.P.C.
Il rifiuto del preteso padre di sottoporsi all’esame del DNA ed alla prova ematica richiesta da controparte al fine di dimostrare il rapporto di parentela fra essi intercorrente, pur non essendo di per sé sufficiente a dimostrare alcunché, è tuttavia considerato per giurisprudenza costante tra gli argomenti indiziari idonei a fondare il convincimento del giudicante, trattandosi, nella specie, di valutare non della legittimità o meno di un prelievo funzionale alle prove genetiche del DNA, ma soltanto se, ferma la inviolabilità della persona e la incoercibilità del prelievo medesimo, dalla scelta negativa di rifiutarne il consenso sia lecito trarre argomenti di prova al pari di tutti gli altri comportamenti tenuti dalle parti nel corso del giudizio. Sul punto la Suprema Corte osserva quanto segue: “L’esame del DNA è del tutto innocuo ed in alcun modo invasivo: il rifiuto ingiustificato del preteso padre di sottoporsi agli esami ematologici costituisce un comportamento valutabile, da parte del giudice, ex art. 116 c.p.c. anche in assenza di prove dei rapporti sessuali tra le parti, in quanto è proprio la mancanza di riscontri oggettivi assolutamente certi ed, al tempo stesso, difficilmente acquisibili, circa la natura dei rapporti intercorsi personali e circa l’effettivo concepimento, a determinare l’esigenza di desumere argomenti di prova dal comportamento processuale dei soggetti coinvolti, potendosi trarre la dimostrazione della fondatezza della domanda anche soltanto dal rifiuto ingiustificato di sottoporsi all’esame ematologico del presunto padre rifiuto posto in opportuna correlazione con le dichiarazioni ed i comportamenti della madre (Cassazione civile, sez. I, 19/11/2012, n. 20235)”.
L’Avv. Daniele Aliprandi del Foro di Ferrara offre consulenza ed assistenza legale per promuovere azioni legali per il riconoscimento giudiziale di paternità o maternità avanti ai competenti organi giudiziari.